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SAM_2430Proprio quando inizi a sentirti parte di un percorso, di un progetto, di una sfida, ti rendi conto che un anno passa in fretta e che sei arrivato al traguardo. Ma se hai vissuto quest’anno con entusiasmo, voglia di fare, di metterti in gioco, se hai vissuto appieno ogni occasione proposta, allora pensi che anche se questa esperienza è finita, quello che ti lascia non finisce il 2 marzo 2015 ma farà parte di te, sempre. È così che oggi mi sento, è così che ho cercato di vivere quest’anno, con la voglia di impegnarmi in un progetto che ho scelto tra tanti e che mi aveva colpito per la diversità del messaggio: pensare alle persone con la sindrome di Down come persone che, se adeguatamente seguite, possono diventare autonome e indipendenti, possono inserirsi in contesti sociali e lavorativi “normali”, evitando qualsiasi forma di pregiudizio e assistenzialismo.

Ricordo che durante il colloquio di selezione alla domanda «Perché hai scelto questo progetto?» risposi che in un progetto del genere mi sarei sentita a mio agio. All’inizio non è stato proprio così; cercavo “ricette segrete” che mi aiutassero a capire come comportarmi… C’è voluto qualche mese per capire che queste ricette non esistevano, che nessuno poteva darmele, che dovevo essere me stessa… Quando ho capito che avevo a che fare con ragazzi con qualche difficoltà in più, non con “alieni” e che non dovevo cercare l’impossibile da nessuna parte, le cose sono andate molto meglio. Se devo dirla tutta un segreto a qualcuno l’ho rubato. L’ho rubato a tutte quelle persone che conoscono e lavorano con i ragazzi da anni. È da loro che ho imparato a credere in ciascun ragazzo. Me lo hanno trasmesso ogni giorno con l’esempio, la dedizione, la passione, la fatica, l’entusiasmo… Come ho già detto a qualcuno qualche giorno fa, quel “Credici anche tu! Posso farcela anche io” lo vedo negli occhi dei ragazzi ogni giorno e lo porterò con me fuori da questa esperienza. Se prima per me questa frase poteva essere una frase come tante altre, dopo questa esperienza fa parte del mio modo di guardare la disabilità (nel rispetto delle potenzialità di ognuno).

Non so dire quello che io posso aver dato all’Associazione in quest’anno, so solo che ho cercato di dare quello che potevo (ma si può sempre dare di più), ho cercato di non essere un problema ma un aiuto in più, ho capito che i bisogni e le esigenze dei ragazzi dovevano essere al centro e io un aiuto per piccole nuove conquiste. Ho preso più che potevo anche dalla formazione interna ed esterna. Mi è stata data la possibilità di partecipare a incontri formativi sul territorio per l’attività dello sportello: sono stati per me utili per conoscere meglio il territorio e per un lavoro futuro.

Prima che la malinconia mi assalga concludo dicendo che se tornassi indietro sceglierei ancora di dedicare parte del mio tempo agli altri in un’esperienza come questa del servizio civile che t’impegna tante ore, perché (un po’ egoisticamente) ha fatto bene soprattutto a me. Ma soprattutto sceglierei ancora (e ancora con più convinzione) l’associazione A.I.R. Down.”

Graziella Girasoli