Articolo uscito su “La Stampa” e su “Controcorrente” del 06/05/2015
Sono un insegnante di una scuola superiore e desidero aprire una riflessione in relazione ai fatti della gita scolastica del liceo di Cuneo. Come si crede di educare dei ragazzi giustificandoli sempre e comunque? Educare è dire chiaramente cosa è bene, cosa è male, cosa è giusto, cosa è sbagliato. Anche quando costa vergogna. Mi chiedo: questi ragazzi, che si sentono punire dalla scuola (è un atto di bullismo), ma giustificare, di fatto, in casa (“è solo uno scherzo!”), cosa trarranno da questa vicenda? Dove si collocheranno? Capiranno qualcosa della gravità di ciò che hanno fatto? O resteranno solo stupiti di essere passati tutt’a un tratto da Facebook alle pagine dei giornali? Che cosa può portare a travisare così tanto la realtà, trasformando ciò che è stata una gravissima e gratuita ostinazione su un compagno di scuola con susseguente vergognosa mancanza di scuse, in uno “scherzo. Magari un po’ pesante, ma uno scherzo”.
Mi chiedo come non si capisca che difendendo sempre le proprie creature nell’immediato (preoccupati in questo caso verosimilmente per la pagella e una possibile bocciatura), si possano danneggiare pesantemente nel lungo termine. Il coraggio di dire ai propri figli che hanno sbagliato, sta diventando sempre più merce rara, tanto più se il giudizio arriva da agenti esterni, come la scuola. Credo che vada davvero recuperata quest’onestà intellettuale di ammettere che un atto è davvero grave, a detta di tutti, e non solo “degli altri”, e rassegnarsi al fatto che questa volta c’è di mezzo anche mio figlio. Ahimè. E’ fondamentale, infatti, mandare messaggi univoci ai ragazzi, per creare dei binari educativi saldi, che permettano loro di acquisire una vera identità: la contrapposizione tra scuola e genitori (sempre più presente) può condurre ad una frattura potentissima in quel compito educativo che necessita invece della sinergia preziosa e profonda tra famiglia e scuola.
Giorgio Giambuzzi